Radicalizzazione jihadista in Europa: il “tempo di attivazione” dei radicalizzati
di Francesco Pettinari – Gruppo di lavoro permanente ReaCT
articolo originale pubblicato sull’Osservatorio Strategico Ce.Mi.S.S. 3/2019
Negli ultimi due decenni, la radicalizzazione jihadista è divenuta uno dei temi più dibattuti dagli esperti del settore relativo alla sicurezza, nonché dai decisori politici, a livello nazionale, europeo e internazionale. Il crescente interesse verso il tema della radicalizzazione è dovuto al fatto che questo non è più un fenomeno che si verifica principalmente in paesi esteri dove le organizzazioni terroristiche sono profondamente radicate, ma può sorgere anche nel cuore dell’Europa[1]. Per questo motivo, la minaccia che gli individui radicalizzati rappresentano per la sicurezza europea è passata da esogena a principalmente endogena.
La principale peculiarità che caratterizza questa rinnovata minaccia è apparsa chiaramente già con gli attentati terroristici di Madrid (2004) e Londra (2005), nonché con l’assassinio del regista olandese Theo Van Gogh avvenuto ad Amsterdam nel novembre 2004[2]. In tutti questi casi, infatti, gli esecutori sono stati definiti “homegrown terrorist“, ossia soggetti nati, cresciuti (o almeno residenti) e radicalizzati nei paesi nei quali hanno poi compiuto gli attacchi. Da questo momento in poi, la maggioranza degli attentatori terroristi sul suolo europeo è risultata essere riconducibile alla categoria “homegrown” e, in generale, il numero di persone europee[3] che hanno abbracciato l’ideologia violenta del Jihad è cresciuto in modo esponenziale.
il 18% dei terroristi jihadisti in Europa aveva una comprovata esperienza di combattimento in territori extra-europei
Tale tendenza ha cominciato a manifestarsi con particolare rilevanza a partire dal 2014. Infatti, da questa data in avanti sono stati pianificati, tentati o condotti più di settanta attacchi terroristici legati all’ideologia violenta del Jihad in vari paesi europei, un numero che non ha precedenti storici. Trentasette di questi attacchi sono stati definiti come “completati” nel periodo 2014-2018 e hanno provocato migliaia di vittime, tra cui più di 360 morti[4]. Inoltre, si è registrato un consistente aumento del numero di uomini e donne radicalizzati che hanno deciso di lasciare l’Europa per agire come “foreign terrorist fighter”[5] nei territori occupati da organizzazioni terroristiche, in particolare lo Stato islamico (IS). Tra i 5.000-6.000 europei che si sono uniti alle fila di IS in Siria e Iraq, si ritiene che un terzo abbia già fatto rientro in Europa[6]. In virtù dell’esperienza di combattimento acquisita, della “desensibilizzazione all’uso della violenza” e dei collegamenti con organizzazioni terroristiche ben strutturate[7], i foreign terrorist fighters di rientro (returnees) rappresentano una potenziale minaccia alla sicurezza europea. Alcuni di questi returnees sono stati effettivamente coinvolti nella pianificazione e nella conduzione di attacchi terroristici – in particolare quelli caratterizzati da elevati livelli di complessità organizzativa come gli attentati di Charlie Hebdo, Parigi e Bruxelles – e hanno facilitato la radicalizzazione e il reclutamento di altre persone alla causa jihadista[8]. Tuttavia, va notato che i returnees non rappresentano un gruppo omogeneo in quanto le motivazioni per il ritorno nei paesi di origine risultano essere molto variegate[9], e solo il 18% degli autori di attacchi terroristici di matrice jihadista registrati in Europa nel periodo 2014-2017 aveva una comprovata esperienza di combattimento in territori extra-europei[10].
La minaccia alla sicurezza originata dagli homegrown terrorist e dal flusso di foreign terrorist fighters è un effetto diretto della radicalizzazione jihadista, e quest’ultimo fenomeno rappresenta la causa alla radice dei numeri sopraelencati. Proprio per questo motivo sono state intraprese azioni per contrastare la radicalizzazione sia a livello di Unione Europea che a livello di singoli Stati[11]. Poiché il fenomeno della radicalizzazione ha una natura complessa e si è costantemente evoluto nel tempo, è necessario studiarlo con un approccio olistico al fine di comprenderne tutte le varie sfaccettature. In particolare, risulta essenziale fare luce sulle modalità attraverso le quali avviene la radicalizzazione degli individui europei, nonché indagare su uno degli elementi cruciali che rendono la minaccia da essi rappresentata altamente imprevedibile: il “tempo di attivazione”.
Due diversi percorsi di radicalizzazione
Analogamente a quanto accade per il concetto di terrorismo, non esiste una definizione di radicalizzazione condivisa a livello internazionale. Come notato da un gruppo di ricerca del Ministero della Difesa australiano, infatti, “l’unica cosa su cui gli esperti di radicalizzazione concordano è che la radicalizzazione è un processo”[12]. Nonostante i tentativi di indagare sui cosiddetti “catalizzatori”, le possibili cause alla base della radicalizzazione di un individuo sono talmente numerose che non è possibile definire chiaramente il loro impatto, se non tramite un’analisi caso per caso[13].
il processo di radicalizzazione può iniziare in due modi diversi: “faccia a faccia” e “auto-radicalizzazione”, spesso via web
Indipendentemente dalle cause personali che portano alla radicalizzazione, le ricerche condotte sui casi europei dimostrano chiaramente che tale processo può iniziare e svilupparsi in due modi diversi. In particolare, è possibile distinguere tra coloro che sono stati radicalizzati attraverso interazioni “faccia a faccia”, e coloro che hanno autonomamente abbracciato l’ideologia violenta del Jihad, definiti “auto-radicalizzati” nell’analisi qui presentata. Il primo metodo rappresenta una costante nella storia della radicalizzazione jihadista in Europa in quanto era già ampiamente utilizzato da Al-Qaeda per reclutare i suoi militanti nei primi anni 2000[14]. Per contro, il secondo è un fenomeno sviluppatosi in tempi più recenti, ed è dovuto principalmente alla capacità dello Stato islamico di ispirare lo jihadismo senza essere necessariamente in contatto con l’individuo o con chi ne guida il processo di radicalizzazione. La crescente rilevanza dell'”auto-radicalizzazione” è stata facilitata dalla massiccia diffusione di materiale propagandistico via internet orchestrata da IS, la quale richiama le tipiche campagne di “premium branding” messe in atto da aziende private[15].
Il processo “faccia a faccia” si basa su interazioni personali con reclutatori professionisti – ossia soggetti che hanno contatti diretti con il centro dell’organizzazione terroristica o con una cellula affiliata – o con altri individui già radicalizzati con personalità spiccatamente carismatiche. Questo tipo di radicalizzazione avviene solitamente nelle moschee e in altri luoghi nei quali sono organizzati eventi concernenti la religione, ma può avvenire anche in penitenziari e altri luoghi di aggregazione sociale[16].
Al contrario, l'”auto-radicalizzazione” avviene per lo più tramite la navigazione in Internet, senza bisogno di alcun contatto diretto con persone terze. Poiché è l’individuo stesso ad avviare il suo processo di radicalizzazione attraverso il consumo di materiali propagandistici reperibili online, non è possibile tracciare una rete di relazioni che inducono il processo. Tuttavia, gli “auto-radicalizzati” non sempre agiscono da soli, ma è possibile che essi si uniscano ad un gruppo di altri radicalizzati – virtualmente (attraverso i social network e sistemi di messaggistica istantanea criptata come Telegram) o fisicamente – per trasporre la loro ideologia in azioni violente.
Misurazione del “tempo di attivazione”
Come descritto in precedenza, i metodi attraverso i quali i singoli soggetti aderiscono all’ideologia violenta del Jihad sono stati approfonditamente studiati, ed è stata raggiunta una comprensione dettagliata delle dinamiche attraverso le quali si avviano e sviluppano.
di quanto tempo hanno bisogno gli individui radicalizzati prima di compiere un’azione violenta?
Ma di quanto tempo hanno bisogno gli individui radicalizzati prima di compiere un’azione violenta? Nonostante la primaria rilevanza della questione, nella letteratura esistente si evidenzia una scarsità di studi a riguardo. Pertanto, l’obiettivo principale della ricerca qui presentata è quello di inserirsi nel dibattito scientifico sull’argomento, fornendo una risposta a tale domanda. Attraverso un’analisi quantitativa, è stato possibile indagare sul “tempo di attivazione” dei soggetti radicalizzati, individuando modelli e tendenze comuni.
“tempo di attivazione”: si intende il periodo di tempo che intercorre tra il primo contatto con l’ideologia violenta del Jihad e il passaggio all’azione
Con l’espressione “tempo di attivazione” si intende il periodo di tempo che intercorre tra il primo contatto con l’ideologia violenta del Jihad e la conduzione della prima azione che segna l’inequivocabile adesione alla causa jihadista. Gli indicatori del primo avvicinamento a tale ideologia sono notevolmente diversi a seconda del tipo di radicalizzazione seguita. Infatti, nei processi “faccia a faccia” questo è da intendersi come il primo contatto personale con la figura che ha ricoperto il ruolo centrale nella radicalizzazione dell’individuo, mentre nei casi di “auto-radicalizzazione” è fatto coincidere con il momento in cui si è riscontrato l’inizio di un consistente consumo di materiale propagandistico online.
Per quanto riguarda le azioni, sia il compimento di un attacco terroristico sul suolo europeo, sia la partenza per unirsi alle file delle organizzazioni terroristiche operanti in territori extra-europei – o il tentativo di partenza nei casi in cui ciò è stato impedito – sono stati considerati come segnali inequivocabili della totale adesione alla causa jihadista. La presente analisi prende in considerazione 46 casi di europei radicalizzati che hanno eseguito attentati terroristici nei paesi dell’UE nel periodo 2014-2017. Tuttavia, come già ricordato, il compimento di un attacco non rappresenta sempre la prima azione di matrice jihadista. Infatti, quasi la metà dei casi analizzati (22 su 46) avevano già tentato di raggiungere i territori occupati da organizzazioni terroristiche, dimostrando chiaramente di essere pronti a trasformare in azioni violente la loro adesione all’ideologia.
Successivamente, il tempo che intercorre tra il primo contatto con l’ideologia jihadista e la prima azione è stato misurato in anni. I dati registrati risultano essere molto variegati, e vanno da meno di uno a circa quindici anni. Mentre il secondo dato può essere considerato come un’anomalia (riscontrato solo in 2 casi), il primo è un valore ricorrente. In 18 casi, infatti, la prima azione è stata effettuata entro pochi mesi dall’inizio del processo di radicalizzazione. Inoltre, all’interno di questo ampio intervallo, i valori registrati risultano essere ben distribuiti. Nella stragrande maggioranza dei casi, l'”attivazione” è avvenuta tra lo stesso anno in cui è iniziata la radicalizzazione e i 4 anni successivi, ma ci sono anche casi in cui ciò è avvenuto dopo 6 o addirittura 10 anni.
Grazie ad analisi statistiche, si è notato che il periodo in cui il passaggio all’azione è più probabile è quello compreso tra il primo e il terzo anno successivi al primo contatto con l’ideologia violenta del Jihad.
Il tipo di processo di radicalizzazione seguito ha un impatto? Gli effetti immediati dell'”auto-radicalizzazione”
I risultati sopraelencati sono tratti da un’analisi che considera solo fattori legati al tempo. Infatti, tutti gli individui radicalizzati che compongono la popolazione di riferimento sono stati considerati insieme, senza differenziare a seconda del tipo di processo di radicalizzazione seguito. Tuttavia, come visto in precedenza, i metodi attraverso i quali gli individui si radicalizzano presentano differenze consistenti. Pertanto, si è ritenuto opportuno studiare separatamente i due diversi tipi di individui radicalizzati al fine di indagare sulla possibilità che i differenti processi di radicalizzazione seguiti influenzino il loro “tempo di attivazione”. Questa differenziazione rappresenta un’innovazione rispetto a quanto già esistente in letteratura poiché non sono stati trovati studi che affrontino la questione in maniera analoga. La maggior parte della letteratura che si propone di indagare sul “tempo di attivazione” analizza principalmente gli aspetti logistici e organizzativi che lo influenzano, nonché i cosiddetti “indicatori pre-incidente”, senza valutare il potenziale impatto del tipo di processo di radicalizzazione seguito[17].
All’interno dei 46 casi studiati in questa analisi, 29 hanno seguito un processo “faccia a faccia” e 17 si sono “auto-radicalizzati”. Circa l’85% degli individui ascrivibili alla prima categoria ha avuto bisogno di almeno 2 anni per realizzare un’azione. Al contrario, l’attivazione dopo tale lasso di tempo è avvenuta in un solo caso di “auto-radicalizzazione”, mentre 15 di questi individui hanno agito entro un anno dal primo contatto con l’ideologia violenta del Jihad. In virtù del limitato lasso di tempo impiegato dagli “auto-radicalizzati” per l’attivazione, è stato possibile raffinare ulteriormente l’analisi, riscontrando come 8 individui su 17 abbiano compiuto la loro prima azione già entro i primi 6 mesi.
Studiando separatamente le due categorie, i risultati cambiano notevolmente rispetto a quanto presentato in precedenza. Per chi si radicalizza attraverso contatti e interazioni personali, l’arco temporale in cui la probabilità di “attivazione” è massima si colloca tra il secondo e il quarto anno dall’inizio della radicalizzazione, con uno scostamento di un anno rispetto al valore registrato per l’intera popolazione studiata. Al contrario, gli individui “auto-radicalizzati” risultano essere immediatamente pronti ad agire, e i livelli apicali di probabilità per la conduzione della prima azione sono totalmente inclusi nello stesso anno in cui sono state trovate le prime tracce del consumo di materiali propagandistici.
i radicalizzati “faccia a faccia” colpiscono con attentati in media in 3,55 anni, mentre gli “auto-radicalizzati” lo fanno nei primi 6 mesi dall’inizio del processo di radicalizzazione.
Queste tendenze trovano conferma sia nei casi di individui che hanno tentato la partenza per agire come foreign terrorist fighter prima di compiere un attentato terroristico in Europa, sia per coloro che hanno come prima azione la conduzione di un attacco. Infatti, considerando coloro che hanno tentato la partenza, il tempo medio[18] per trasporre l’ideologia in tale azione impiegato dai radicalizzati “faccia a faccia” è di 3,5 anni, mentre le loro controparti “auto-radicalizzate” hanno fatto lo stesso nei primi 6 mesi successivi all’inizio del loro processo di radicalizzazione. Per quanto riguarda gli individui che hanno commesso direttamente un attacco terroristico sul suolo europeo, le differenze rimangono le stesse con medie che risultano essere di 3 anni per i radicalizzati tramite contatti personali diretti e di 1 anno per gli “auto-radicalizzati”.
Il principale risultato di questa analisi evidenzia come l'”auto-radicalizzazione” porti gli individui ad agire in modo più rapido rispetto a quanti si radicalizzano tramite processi “faccia a faccia”. Approcciando l’argomento da un punto di vista innovativo, è stato dunque possibile evidenziare e misurare gli effetti immediati dell'”auto-radicalizzazione” in termini di propensione all’azione, così come le tempistiche che contraddistinguono il processo basato su interazioni personali dirette, il quale necessita di un tempo più lungo per portare all’attivazione dei soggetti.
Dunque, appare chiaro che il percorso seguito per abbracciare pienamente l’ideologia violenta del Jihad influenzi il “tempo di attivazione” degli individui radicalizzati, e che l’inserimento di questo elemento nell’analisi risulti necessario al fine di raggiungere una migliore comprensione del fenomeno. Infatti, i risultati trovati studiando l’intera popolazione descrivono un quadro parziale che non fornisce alcuna informazione – o suggerimento per l’attuazione di politiche – che possa essere utile per prevedere e prevenire il passaggio all’azione degli individui radicalizzati. Tenendo presente il concetto già elaborato da Bertolotti, il quale definisce gli individui radicalizzati come “armi intelligenti a tempo”[19], è della massima importanza distinguere tra radicalizzati “faccia a faccia” e “auto-radicalizzati” per stimare il momento in cui queste “armi” metteranno in pratica la loro adesione all’ideologia violenta del Jihad.
Note:
[1] In questa analisi, i termini “radicalizzazione”, “terrorismo”, e i loro derivati sono da intendersi sempre ed esclusivamente nella loro dimensione “jihadista”. Anche le espressioni “ideologia jihadista”, “jihadismo” e affini si riferiscono in maniera esclusiva alle loro accezioni violente, benché tali concetti, se slegati dalla visione strumentalizzata creata ad hoc dalle organizzazioni terroristiche, non siano connotate da tali peculiarità. Inoltre, il termine “radicalizzazione” e i suoi derivati si riferiscono alla “radicalizzazione che induce al terrorismo (radicalisation that leads to terrorism)” come definito dall’ Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) in OSCE, Preventing Terrorism and Countering Violent Extremism and Radicalization that leads to Terrorism: A Community-Policing Approach, 2014. Consultabile in https://bit.ly/2B6Xv96.
[2] Reinares F., Jihadist Radicalization and the 2004 Madrid Bombing Network, CTC Sentinel vol. 2 Issue 11, Novembre 2009; Awan A., the 7/7 Attacks and a new Type of Terrorism, New Internationalist, 7 luglio 2015. Consultabile in https://bit.ly/2WUSQP9, last accessed 20th June 2019; Sulmoni C., Da Theo in poi. Olanda e Jihad. RSI Rete Due, 9 maggio 2019. Consultabile in https://bit.ly/2Z826kL.
[3] In questa analisi, il termine “europei” si riferisce a ““European citizens and non-EU nationals residing in Europe” come definito dal Parlamento Europeo in European Parliament Resolution on the Prevention of Radicalisation and Recruitment of European Citizens by Terrorist Organisations 2015/2063 (INI), 25 novembre 2015. Consultabile in https://bit.ly/2N4PjxU. Si veda, inoltre, Directive 2017/541 of the European Parliament and of the Council on combating terrorism and replacing Council Framework Decision 2002/475/JHA and amending Council Decision 2005/671/JHA, 15 marzo 2017. Consultabile in https://bit.ly/2IDuHIW.
[4] Questi dati sono tratti dai Rapporti TE-SAT pubblicati da Europol negli anni 2015-2019. Tutti i Rapporti sono disponibili sul sito di Europol https://www.europol.europa.eu/.
[5] Si è scelto di utilizzare la definizione “foreign terrorist fighter” come definito dalla Risoluzione 2178 (2014) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Consultabile in https://undocs.org/S/RES/2178(2014).
[6] Marone F. and Olimpo M., Il problema dei foreign fighters catturati in Siria, ISPI Focus, 18 febbraio 2019. Consultabile in https://bit.ly/2NtTEuO, ultimo accesso 25 giugno 2019.
[7] Schuurman B. and van der Heide L., Foreign fighter returnees & the reintegration challenge, RAN Issue Paper, Radicalisation Awareness Network Centre of Excellence, Novembre 2016. Consultabile in https://bit.ly/2yjuh4x.
[8] Holman T., Gonna Get Myself Connected: The Role of Facilitation in Foreign Fighters Mobilization, in Perspective on Terrorism, vol. 10 no. 2, 2016. Consultabile in https://bit.ly/2JJCMwf.
[9] Reed A., Pohl J., Jegerings M., The Four Dimensions of the Foreign Fighter Threat: Making Sense of an Evolving Phenomenon, ICCT Policy Brief, International Centre for Counter-Terrorism, giugno 2017. Consultabile in https://bit.ly/2reWNDm. Si veda, inoltre, Boncio A., The Islamic State’s Crisis and Returning Foreign Fighters: The Case of Italy, ISPI Working Paper, 3 novembre 2017. Consultabile in https://bit.ly/2Mdr3Ye.
[10] Vidino L., Marone F., Entenmann E., Fear Thy Neighbor. Radicalization and Jihadist Attacks in the West, International Centre for Counter-Terrorism – ICCT, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale – ISPI, Program on Extremism at the George Washington University, Milano, 2017.
[11] Riguardo le azioni intraprese a livello UE è importante citare, tra le altre, l’istituzione dello Radicalisation Awareness Network (RAN) https://bit.ly/2p0CRhp. Per alcuni rilevanti esempi e valutazioni di azioni intraprese dai vari stati europei si veda Schyns C. and Müllerleile A., How to prevent violent extremism and radicalisation?, European Institute of Peace. Consultabile in https://bit.ly/20707Yo, ultimo accesso 27 giugno 2019. In Italia, è importante sottolineare la recente nascita di ReaCT –Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo https://www.osservatorioreact.it/.
[12] Minerva Nasser-Eddine, Bridget Garnham, Katerina Agostino and Gilbert Caluya, Countering Violent Extremism (CVE) Literature Review, Canberra, Australian Government, Department of Defence, marzo 2011.
[13] Per una descrizione delle possibili cause si veda Allan, H.; Glazzard A., Jesperson, S., Reddy-Tumu, S., Winterbotham E., Drivers of violent extremism, hypotheses and literature review, Royal United Service Institute (RUSI), 2015. Consultabile in https://bit.ly/2LTgeHv. Per la definizione dei vari passaggi che costituiscono il processo di radicalizzazione si veda De Coensel S., Processual Models of Radicalization into Terrorism: A Best Fit Framework Synthesis, Journal for Deradicalization, No. 17 Winter 2018/19. Consultabile in https://bit.ly/2XeR6jK.
[14] Brzuszkiewicz S., Radicalisation in Europe after the fall of Islamic State: Trends and Risks, European view 2018, Vol 17 No. 2, Wilfred Martens Centre, 2018 Consultabile in https://bit.ly/2OkCEri. Descrive questo processo come “old-style recruitment”.
[15] Sulla capacità di IS di ispirare jihadismo si veda Bertolotti C., Intelligence e definizione della minaccia. Dal terrorismo convenzionale al “Nuovo Terrorismo Insurrezionale” di matrice islamica: Foreign Fighter e “lupi solitari” come fattore di destabilizzazione interna agli Stati, in Sicurezza, Terrorismo e Società, Issue 1, 2017. EDUCATT, Milano. Consultabile in https://bit.ly/2YbO45l.
[16][16] Tra gli esempi più frequenti di persone che possono assumere un ruolo di primo piano nel processo di radicalizzazione ci sono gli imam radicali (facilitati dal loro ruolo religioso, ad esempio l’imam che radicalizzò l’intera “cellula di Ripoll”, la quale ha perpetrato l’attacco a Barcellona nel 2017); i returnees (che possono ispirare con le loro storie spesso esagerate e il loro presunto eroismo, ad esempio la rete costruita da Khalid Zerkani che fu dietro l’attentato di Bruxelles del 2016); persone comuni che, in ambienti difficili come le aree depresse o i penitenziari, mostrano una dedizione non comune e la volontà di aiutare gli altri verso una “redenzione” e la vendetta per ingiustizie percepite (ad esempio, Chérif Kouachi, uno dei due aggressori di Charlie Hebdo è stato la figura chiave nella radicalizzazione di Amédy Coulibaly, la persona che ha attaccato un mercato ebraico nello stesso giorno).
[17] Su questo punto si vedano, tra gli altri, Schuurman B., Bakker E., Gill P., Bouhana N., Lone Actor Terrorist Attack Planning and Preparation: A Data-Driven Analysis, Journal of Forensic Sciences, Vol. 63 no. 4, July 2018. Consultabile in https://bit.ly/2IECl2M. Smith BL., Damphousse KR, Roberts P., Pre-incident indicators of terrorist incidents: the identification of behavioural, geographical, and temporal patterns of preparatory conduct. University of Arkansas, Terrorism Research Center, 2006. Consultabile in https://bit.ly/30Veo0c.
[18] Si è scelto di utilizzare la mediana al fine di minimizzare le distorsioni derivanti da valori “estremi”.
[19] Bertolotti C., op. cit.
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