Gli effetti del “Nuovo Terrorismo Insurrezionale” di matrice islamica
di Claudio Bertolotti
Articolo originale pubblicato per ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale
Abstract
L’attacco del 28 giugno 2016 all’aeroporto internazionale Atatürk di Istanbul è stata un’azione spettacolare portata a compimento da una squadra d’assalto di tipo “commando suicida”, organizzato e strutturato, al pari di quelli che hanno operato in Francia (Parigi, 13 novembre 2015) e a distanza di circa tre mesi dal similare attacco in Belgio (Bruxelles, 22 marzo 2016). Un attacco imponente che ha ottenuto, come risultati, la morte di 45 persone e il ferimento di almeno 238, l’attenzione mediatica globale, l’indebolimento di Erdoğan e dell’economia turca (riduzione dei flussi turistici e di affari) e il temporaneo blocco dei trasporti aerei da e per la Turchia. Sebbene non sia giunta alcuna rivendicazione e assunzione di responsabilità per l’attacco, le speculazioni basate su metodologia, tipologia di tecnica e di equipaggiamento utilizzato, inducono a focalizzare l’attenzione sul fenomeno IS/Daesh. Al di là della tipologia di attacchi e del grado di emulazione degli stessi in diversi contesti nazionali, la volontà di provocare terrore, attraverso azioni scarsamente prevedibili e limitatamente contrastabili, discenderebbe l’introduzione e l’evoluzione di tecniche nuove e sempre più spregiudicate, in grado di adattarsi velocemente e in maniera economica alle contromisure, spesso onerose e impegnative, adottate dai governi e dalle istituzioni deputate alla sicurezza collettiva.
L’azione e i risultati
L’attacco del 28 giugno 2016 all’aeroporto internazionale Atatürk di Istanbul è stata un’azione spettacolare portata a compimento da una squadra d’assalto di tipo “commando suicida”, organizzato e strutturato, al pari di quelli che hanno operato in Francia (Parigi, 13 novembre 2015) e a distanza di circa tre mesi dal si milare attacco in Belgio (Bruxelles, 22 marzo 2016).
Sette i componenti della squadra di attacco: tre caduti nella fase condotta dell’azione, uno catturato, tre in fuga; altre 13 persone sarebbero state arrestate dalle autorità turche. I tre attaccanti erano originari di Uzbekistan, Kirghizistan e Russia (Cecenia); in particolare, il ceceno Ahmed Redjapovic Chataev, la “mente” dell’attacco, aveva lo status di rifugiato e per questo, nonostante il suo arresto in Bulgaria per i suoi legami con l’organizzazione terroristica di matrice islamica, era stato rilasciato successivamente in Austria.
La Turchia è stata colpita attraverso la tecnica dell’azione spettacolare; un attacco che ha ottenuto, come risultati, la morte di 45 persone e il ferimento di almeno 23, l’attenzione mediatica globale, l’indebolimento di Erdoğan e dell’economia turca (riduzione dei flussi turistici e di affari) e il temporaneo blocco dei trasporti aerei da e per la Turchia. Elemento, quest’ultimo, da tenere in considerazione e in linea con quanto già avvenuto in Belgio con il
blocco dei voli europei.
Per la Turchia, si tratta dell’ottavo attacco di tipo “suicida” portato a compimento nei primi sei mesi del 2016; azioni, che hanno provocato la morte di almeno 140 persone, attribuite, e in alcuni casi rivendicate, a gruppi riconducibili a militanti curdi e al fenomeno dello Stato islamico (IS/Daesh).
Al momento non è giunta alcuna rivendicazione e assunzione di responsabilità per l’attacco; ma le speculazioni basate su metodologia, tipologia di tecnica e di equipaggiamento utilizzato, inducono a focalizzare l’attenzione sul fenomeno IS/Daesh.
Inoltre, quello che è stato portato a compimento è un attacco che pone in evidenza una crescente abilità di penetrare le linee difensive degli obiettivi sensibili e, in particolare, di rappresentare una minaccia significativa per gli aeroporti e dunque una minaccia diretta anche all’Europa.
Un attacco che, dopo gli eventi avvenuti in Francia e in Belgio – spartiacque sostanziale nell’evoluzione del fenomeno terroristico contemporaneo –, evidenzia come il fondamentalismo jihadista, che si diffonde dal Medio Oriente, attraverso il Nord Africa, sia una minaccia sempre più concreta, nonostante dal punto di vista territoriale IS/Daesh sia in fase regressiva: una minaccia che è conseguenza dell’evoluzione neo-jihadista riconducibile al fenomeno
Stato islamico in combinazione con le dinamiche conflittuali locali (interne all’area Mena), con gli influssi dell’area asiatica (come dimostra la componente asiatica che ha preso parte all’azione), ma anche della componente musulmana europea spesso di seconda-terza generazione (attacchi avvenuti in Europa).
Un’imposizione di violenza che ha portato a compimento con successo un’operazione articolata e coordin
ata. Ciò che è avvenuto è stato un classico esempio di trasferimento di capacità tattica da un teatro operativo a un altro. Ma a differenza del passato, dove le tecniche, tattiche e procedure venivano trasferite dall’Iraq all’Afghanistan,
alla Siria, o alla Libia, oggi l’evoluzione di una tecnica di combattimento maturata e collaudata nell’area del Grande Medio Oriente – dal sub-continente indiano al Maghreb – si è imposta ancora una volta al di fuori delle aree di crisi propriamente dette, in un paese ai confini dell’Unione europea, e potrebbe essere replicata in altri stati dell’Ue, tra i quali l’Italia, che rappresenta un obiettivo significativo, sul cui territorio vi sono molteplici targe di alto valore (Hvt – High Value Target) materiale e simbolico.
È la tecnica del “commando suicida”, ampiamente utilizzata e affinata, che ha fatto la sua comparsa per la prima volta nel 2008 in Afghanistan e di cui l’autore di questo contributo ha trattato nel libro Shahid. Analisi del terrorismo suicida e in altri studi successivi dedicati al fenomeno degli attacchi suicidi, anticipando quegli sviluppi a cui oggi assistiamo.
Oggi, esportando questa tecnica, il fenomeno IS/Daesh ha confermato di essere capace di operare con efficacia, dimostrando di disporre di “combattenti” in grado di costituire nucleo di individui determinati, con adeguato livello di addestramento e coordinamento, con buona capacità operativa in un contesto urbano e un livello di capacità logistica e intelligence adeguato. Si tratta di capacità procedurali già applicate in Afghanistan, prima, e nei teatri operativi del Syraq (Siria e Iraq) della Libia e, più recentemente, dell’Europa.
La dinamica dell’attacco: tattica e azione condotta
Fase “uno”: il diversivo – Ripetendo uno schema già utilizzato nell’attacco di Bruxelles di questa primavera, gli attaccanti sono arrivati in aeroporto a bordo di un taxi dando avvio alla prima fase dell’attacco che è stata avviata con un’esplosione nel parcheggio adiacente al terminal 2. Due attaccanti suicidi – equipaggiati di cinture esplosive e armi leggere d’assalto – si sono avvicinati al punto di accesso e controllo presidiato dalla polizia ingaggiando un conflitto
a fuoco prima che uno di questi si facesse esplodere attirando l’attenzione del personale della sicurezza e inducendo a una concentrazione degli sforzi verso l’esterno.
Chi ha pianificato l’azione sapeva, dunque, che parte del personale addetto alla sicurezza si sarebbe portato sul luogo dell’azione, come previsto dalle procedure aeroportuali adottate dopo l’attacco a Bruxelles, consentendo così agli attaccanti di approfittare della distrazione del personale impegnato nell’anello più esterno del sistema (prima linea di difesa).
Ed è proprio la prima linea di difesa a essere quella più critica, poiché è il filtro più sensibile e sottoposto a maggiore stress in quanto chiunque debba accedere all’aeroporto deve transitarvi ed essere sottoposto ai controlli. La riduzione del personale in seguito all’azione diversiva ha consentito di creare una breccia nella sicurezza che ha poi dato il via alla fase due dell’attacco.
Fase “due”: la breccia – Il secondo attentatore si sarebbe fatto esplodere pochi istanti dopo, in prossimità del vicino accesso al terminal 2. Approfittando della ridimensionata efficacia della prima linea di difesa provocata dalla riduzione del personale in essa presente dopo il diversivo che l’aveva resa vulnerabile, il nucleo d’attacco (un elemento) è penetrato nel terminal 2 voli internazionali, procedendo con la condotta della successiva fase operativa. Questa è la fase che ha provocato il più alto numero di caduti, a causa dell’elevata concentrazione di passeggeri e personale in servizio all’aeroporto in prossimità dei punti di controllo.
Fase “tre”: penetrazione – Gli effetti devastanti dell’esplosione – distruzione di porte, vetri, e riduzione dell’efficacia del cordone di sicurezza – hanno così consentito al terzo attaccante di entrare all’interno del
terminal 2 aprendo il fuoco sulla folla in fuga; ferito da un poliziotto, ma non neutralizzato, è riuscito infine a farsi esplodere provocando danni materiali alla struttura interna.
Tattica, tecnica e procedura
Il metodo di attacco è simile a quello portato a compimento all’interno del teatro Bataclan di Parigi: fuoco di saturazione con armi leggere e attacchi suicidi con cinture/giubbetti esplosivi. Inoltre, la tipologia di obiettivo è la stessa dell’attacco a Bruxelles: un aeroporto internazionale.
La metodologia, confermando la tecnica di attacco già utilizzata, si è adeguata alle misure di contrasto delle forze di sicurezza e le ha rese inefficaci.
La tattica utilizzata è il raid condotto da un “commando suicida” dotato di capacità operativa convenzionale (tiratori dotati di armi automatiche individuali) attraverso fasi successive. Le tre singole fasi prese in esame e descritte sono vere e proprie operazioni militari, in cui agli equipaggiamenti esplosivi dei combattenti – suicidi si aggiungono le armi leggere. In particolare, le fasi operative si sono così succedute: movimento verso l’obiettivo, diversivo, penetrazione, uccisione indiscriminata, ricerca del panico, conclusione con la morte autoindotta degli attaccanti (giubbotti esplosivi).
Una conferma ulteriore allo sviluppo di una tecnica di attacco “fluida” e adattabile che ha dato prova di efficacia in Afghanistan e successivamente anche nel teatro operativo del Syraq. Il primo episodio di questo tipo ad aver ottenuto un’attenzione mediatica globale è quello di Mumbai nel novembre del 2008.
Inoltre, nella sua variante europea e turca, si è manifestata come azione inserita in un contesto urbano, e per questo ascrivibile ad operazione dello urban warfar e contemporaneo: l’evoluzione del combattimento nei centri abitati, difficile da contrastare, a rischio coinvolgimento di attori non-combattenti (popolazione civile), caratterizzato dall’imprevedibilità della minaccia e dall’elevato numero di target potenziali.
L’equipaggiamento utilizzato è costituito da a rmi individuali, precisamente fucili d’assalto AK47 con rimozione del calcio al fine di ridurne la visibilità sotto gli abiti e all’interno di borse; alle armi individuali si uniscono le cinture addominali esplosive (la tipologia di esplosivo non è nota ma è probabile che si tratti di tritolo e non si esclude, come già a Parigi e Bruxelles, l’utilizzo di perossido di idrogeno, chiodi e bulloni con l’intento di creare l’effetto shrapnel).
Si tratta di una tattica efficace – frutto della commistione tra l’uomo-bomba e la tecnica dell’assalto armato convenzionale – basata sul coordinamento di uno o più combattenti-suicidi (in genere divisi in sotto-unità o scaglioni), spesso sostenuti da nuclei di «sicurezza vicina» e finalizzata alla massimizzazione dell’opera di distruzione in funzione della penetrazione delle linee difensive e a sostegno dell’attacco suicida principale. Una tecnica che si è sviluppata e affinata attraverso il tempo grazie alla capacità di information-sharing tra i gruppi di opposizione armata e l’influenza diretta del conflitto iracheno; tecnica utilizzata ed evolutasi nel conflitto del Kashmir e applicata da quei gruppi insurrezionali kashmiri e pachistani, in primis il Lashkar-e-Taiba.
Questa tipologia di azione ottiene il risultato di un elevato numero di vittime provocate per singolo attacco, superiore alle azioni condotte da singoli attaccanti, e maggiore attenzione mediatica.
E Istanbul – come Ankara e le capitali o principali città europee – rappresenta un importante obiettivo, strategico e simbolico al tempo stesso; qui, le opportunità di colpire obiettivi di alto profilo sono elevate e garantiscono quell’eco mediatica amplificata che viene ricercata dai gruppi di opposizione armata: è l’opportunità a dettare la scelta per la condotta dei cosiddetti «attacchi spettacolari», al fine di spettacolarizzare la violenza.
Natura e limiti dell’obiettivo colpito
L’aeroporto internazionale “Atatürk” è un obiettivo dal forte impatto emotivo e simbolico; tecnicamente un hard-
target, con un medio livello di sicurezza, ad elevata concentrazione di popolazione.
Il risultato, a fronte di un costo ridotto per la condotta degli attacchi, è stata l’imposizione di significative condizioni, in termini di risorse materiali e umane, sforzi logistico-operativi, difficoltà di coordinamento, blocco del traffico aereo.
L’aeroporto è, di fatto, un obiettivo altamente vulnerabile e ciò ne fa un’opzione privilegiata per gli attacchi. Le misure di prevenzione e difesa sono in grado di essere efficaci solamente in alcune specifiche aree, ma non in tutte e allo stesso livello.
E infatti, gli attaccanti possono far esplodere una bomba o aprire il fuoco in prossimità dei punti di accesso, o addirittura ai posti di controllo sulle strade che portano all’aeroporto; e in ogni caso sarebbero in grado di colpire e far vittime. E per quanto forze speciali, tiratori scelti, misure tecnologiche all’avanguardia possano ridurre il
li vello di minaccia, agli aeroporti come ai velivoli in volo, questo non può essere annullato; il che significa accettare il rischio calcolato. In altri termini un prezzo in vite umane poiché, tragicamente, le vittime di rado possono essere evitate se la volontà dei terroristi è quella di uccidere. E il nuovo terrorismo insurrezionale di matrice islamica ha
come obiettivo quello di creare il maggior numero di morti, attraverso la spettacolarizzazione della violenza.
La risposta è dunque nella combinazione, un giusto equilibrio, tra attività preventiva (intelligence), repressiva e misure di sicurezza fisica, al fine di ridurre a un livello minimo il rischio calcolato.
I possibili sviluppi della minaccia e potenziali obiettivi
Per quanto concerne gli attacchi diretti, con specifico riferimento agli attacchi suicidi (e commando suicidi), quello turco, così come quello francese prima e quello belga successivamente, è un successo in grado di indurre all’emulazione o alla riproposta del modello di attacco contro altri analoghi obiettivi. E questo indipendentemente
dagli effetti dir etti sul piano operativo o dal numero dei morti, poiché il terrore opera sfruttando la capacità di amplificazione mass-mediatica della paura che è l’end-state della strategia caratterizzante quel Nuovo Terrorismo Insurrezionale di matrice islamica che così, attraverso la condotta di azioni tattiche, ottiene significativi risultati e conseguenze sul piano strategico.
E proprio dalla volontà di provocare terrore, attraverso azioni scarsamente prevedibili e limitatamente contrastabili,
discenderebbe l’introduzione e l’evoluzione di tecniche nuove e sempre più spregiudicate, in grado di adattarsi velocemente e in maniera economica alle contromisure, spesso onerose e impegnative, adottate dai governi e dalle istituzioni deputate alla sicurezza collettiva.
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