Radicalizzazione_Islamica_interno

LA MINACCIA TERRORISTICA NELL’ERA DIGITALE TRA FOREIGN FIGHTERS E RADICALIZZAZIONE ONLINE

di Ginevra Fontana

Report – Evento ISPI (scarica in formato pdf)

Nel marzo 2019 cade la città di Baghouz (Siria), ultimo baluardo territoriale del Califfato islamico; nell’ottobre dello stesso anno, muore anche il Califfo, Abu Bakr al-Baghdadi. Nonostante il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dichiari la fine del cosiddetto Stato Islamico, la minaccia del terrorismo di matrice islamista non scompare: il 2 febbraio 2020, a Londra, un uomo – già noto alle forze di polizia per radicalismo – accoltella tre passanti, prima di essere ucciso dalla polizia.

È dunque tristemente innegabile il tempismo della conferenza la minaccia terroristica nell’era digitale: tra foreign fighters e radicalizzazione online, terza conferenza annuale sul tema organizzata dall’Osservatorio sulla Radicalizzazione e il Terrorismo Internazionale dell’ISPI, tenutasi a Milano in data 6 febbraio 2020 con il supporto del Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale.

Il moderatore è Francesco Marone (Università di Pavia e ISPI), il quale apre l’evento ricordando che le stime più recenti riferiscono di decine di migliaia di radicalizzati in Europa – nei quali sono inclusi anche i simpatizzanti della causa jihadista. A tale proposito, è un chiaro segnale l’apertura, in Francia, di inchieste interne per 106 poliziotti sospettati di radicalismo – nonostante vada ricordato che si tratti di un centinaio di casi, ancora da verificare, su all’incirca centocinquantamila membri delle forze dell’ordine.

Qual è, dunque, la portata della minaccia terroristica ad oggi in Italia e in Occidente? Le stime sui foreign fighters parlano di cinque- o seimila persone partite dall’Europa verso Siria e Iraq per unirsi al Califfato Islamico; di questi, si stima che circa un terzo sia già rientrato.

La prima a parlare è Lucia Goracci (Rai), in collegamento su Skype, la quale fa notare come al-Baghdadi morì nell’ottobre 2019 a Idlib (Siria), una città vicina al confine turco e localizzata in una zona nella quale si registra una forte presenza di Al Qaeda.

Le condizioni socioeconomiche che avevano permesso ad IS di svilupparsi e prosperare nel nord di Iraq e Siria sono tutt’ora rimaste invariate: per questo motivo, il pericolo del terrorismo di matrice jihadista non solo non è scomparso, ma rischia di ripresentarsi. Nell’area, inoltre, si è aggravato il problema relativo al sistema di alleanze: coloro i quali hanno effettivamente sconfitto IS non sono più gli interlocutori privilegiati dell’Occidente e/o hanno sofferto un forte indebolimento del proprio ruolo.

Sussiste il problema dei foreign fighters detenuti nelle carceri del nord-est della Siria

Sussiste il problema dei foreign fighters, di più di cinquanta nazionalità, detenuti nelle carceri del nord-est della Siria. Le autorità curde hanno infatti dichiarato in questi giorni che cominceranno già dal prossimo mese a processare i detenuti; differentemente però dall’Iraq, ove i processi sono già iniziati, la Siria non prevede la pena di morte.

Un rischio da non sottovalutare né dimenticare riguarda le spose straniere dei foreign fighters, detenute nelle carceri siriane, e i minori stranieri. Di questi ultimi, meno del 10% è stato rimpatriato – la selezione avviene caso per caso, dunque particolarmente a rilento.

Infine, le instabilità che hanno afflitto l’Iraq negli ultimi mesi comportano un ulteriore ostacolo alla ricostruzione delle città e, di conseguenza, al ritorno alla normalità.

Segue l’intervento di Guido Olimpio (Corriere della Sera), il quale ricorda come uno dei problemi incontrati dagli studiosi di terrorismo riguarda la mancanza di confini precisi della materia, la quale è mutabile e in continua evoluzione. La diminuzione di attacchi di matrice terroristica islamica in Europa non coincide con una diminuzione a livello globale di attività di questo genere: i numeri di attentatori suicidi affiliati a gruppi jihadisti continuano in 24 Paesi, coinvolgendo anche donne – nonostante anche questi numeri siano in leggera diminuzione.

Il giornalista identifica tre tipologie di terroristi in Europa:

  • il terrorista cosiddetto “solido”, che costituisce solitamente il profilo tipicamente individuato in Gran Bretagna: si tratta di persone con trascorsi di piccola criminalità o con esperienze di periodi trascorsi in carcere, che presentano una preparazione ideologica più profonda, forse perché tendenzialmente più legati ad Al Qaeda – che, differentemente da ISIS, marcava molto questo aspetto;
  • il terrorista “ispirato”: si tratta di elementi non in diretto contatto con IS, ma – per l’appunto – ‘ispirati’ dalle gesta del sedicente Califfato islamico;
  • il terrorista “ibrido”, cioè il profilo più spesso individuato in Francia e Belgio (e, in misura minore, in Italia): si tratta di elementi che mescolano ragioni personali e ideologiche; si manifestano quando attaccano, raramente sono già conosciuti alle forze di polizia per radicalismo. Di questa tipologia fa parte il sottogruppo dei “caotici” (ai quali il giornalista si riferisce anche con il termine di “zombie”): elementi che dichiarano di “sentire le voci”, persone dunque instabili che d’impulso conducono episodi – quale per es. l’episodio avvenuto nella Prefettura di Parigi. Questa instabilità mentale dell’attentatore fa sì che IS possa anche scegliere di non rivendicare l’attentato.

Nonostante nel 2019 il 75% degli attentati sia stato condotto con coltelli, viene ricordato come l’importanza del suicidal backdrop possa spingere ad attaccare membri delle forze dell’ordine e/o delle forze armate, le quali non sono solo un simbolo del potere, ma anche un mezzo per concretizzare l’aspirazione al martirio.

lo Stato Islamico opera l’indottrinamento per elementi di continuità e/o per conoscenza personale

In conclusione, lo Stato Islamico opera l’indottrinamento per elementi di continuità e/o per conoscenza personale: per questo motivo, la famiglia e le amicizie sono le sentinelle che devono dare l’allarme, nel momento in cui un individuo manifesta segnali di radicalizzazione. Allo stesso modo operano i gruppi xenofobi, ai quali questo tipo di ragionamento è dunque applicabile.

Ricollegandosi alla questione dell’indottrinamento, Matteo Colombo (ISPI) espone come la strategia di comunicazione di ISIS si declini con mezzi diversi per raggiungere pubblici diversi: internet per i giovani; radio, pamphlet e comunicati per gli adulti residenti nelle zone controllate. Ciò che ha differenziato IS da altri gruppi terroristici di matrice islamica è l’uso massiccio dei social, ove si assottiglia – fino a scomparire – la distinzione tra chi fa parte del gruppo e chi lo supporta.

Poiché le ideologie vivono più a lungo delle organizzazioni, importanza fondamentale hanno i temi sui quali si è innestata la propaganda di IS – inoltre, il pubblico principale dello Stato Islamico è chi parla arabo. Dopo aver esposto i risultati di una ricerca da lui condotta sulla base di un database dell’Università Statale di Milano, Colombo spiega come la propaganda anti-IS si basi tendenzialmente su una campagna di contro-informazione che sconfessi le affermazioni dello Stato Islamico, screditandolo. È interessante notare come la legittimità religiosa non sia un tema trattato in maniera rilevante da nessuno dei due schieramenti.

La questione religiosa non è un tema di discussione nemmeno nel percorso di de-radicalizzazione, spiega Sabrina Martucci (Università di Bari Aldo Moro). È infatti nato a Bari il primo caso italiano di un tavolo di lavoro, coinvolgente Procura della Repubblica di Bari, DIGOS, Tribunale e Università, al fine di sviluppare un percorso di de-radicalizzazione per soggetti che presentano pericolosità sociale. La più recente riforma del Codice Penale consente infatti la riduzione delle libertà personali per soggetti sospettati di terrorismo: in questo frangente si inserisce la figura del mediatore, il quale gestisce i rapporti con il soggetto e scrive un programma di percorso de-radicalizzante. È dunque importante che vengano legittimati gli attori di intermediazione: per es., un imam moderato non può essere mediatore – non solo per il fondamento laico dello Stato, ma anche perché la definizione di laico è prettamente soggettiva. Il programma deve essere dunque laico, condotto da un’équipe composta da membri della società civile, i quali devono avere una formazione a 360° del fenomeno, siano essi professionisti o operatori di polizia. La de-radicalizzazione non tocca la religiosità della persona, ma rieduca alla legalità: per questo, è importante individuare qual è stato il percorso di radicalizzazione del soggetto, connettendolo agli argomenti da trattare; il percorso di de-radicalizzazione, dunque, deve portare ad una neutralità rispetto alle tre linee di fondo alla base delle narrative jihadiste:

  • proibito/ammesso;
  • esercizio di dissimulazione;
  • rapporto tra credenti e miscredenti.

Il programma è dunque intrinsecamente connesso alla vicenda personale di ciascun soggetto. Il percorso del progetto pilota ha avuto durata di un anno e mezzo, con relazioni trimestrali: nonostante gli esiti siano ancora segreti, essi sono stati definiti confortanti. Più che un processo di de-radicalizzazione, però, la professoressa Martucci spiega che si tratta di un depotenziamento, laico e finalizzato alla sicurezza dello Stato, di una minaccia o potenzialità eversiva.

Nel riconoscimento di tali soggetti, Alberto Nobili (Procura della Repubblica di Milano) sottolinea l’importanza del lavoro svolto dagli uomini di ROS, GICO e DIGOS. Evidenzia inoltre una sostanziale differenza, rispetto al lavoro condotto per il contrasto della mafia: tendenzialmente, l’identità dei mafiosi è conosciuta, ma mancano le prove; nel caso del terrorismo di matrice islamica, il terrorista è molto spesso invisibile fino a quando non attacca.

È necessario sfatare il mito che il terrorismo “arrivi sui barconi”: piuttosto, esso è “coltivato in casa”

È necessario sfatare il mito che il terrorismo “arrivi sui barconi”: piuttosto, esso è “coltivato in casa” – i terroristi sono tendenzialmente giovani sulla ventina, di seconda generazione, i quali risultano non inseriti nel tessuto sociale e dunque soffrono di forme di emarginazione.

Ad oggi, a Milano vi sono una cinquantina di soggetti monitorati (molte volte segnalati dalle famiglie, le quali sono migranti di prima generazione; talvolta, invece, le segnalazioni sono effettuate dai vicini di casa) tramite, tra le altre modalità, intercettazione telematica dei computer. Da sottolineare come si intersechino, nel materiale reperibile online, la cultura del martirio (tipica di Al Qaeda) e l’incitamento a “uscire di casa, prendere un coltello e fare sangue” (tipico di ISIS). Quasi tutti i casi di attacchi in Italia si sono conclusi in una perizia psichiatrica, che nella maggior parte dei casi ha dato come risultato una semi-infermità mentale: si fa dunque leva sulla fragilità di menti deboli, di giovani marginalizzati che sognano un giorno da eroe.

Per quanto riguarda i foreign fighters, sarebbero 142 i soggetti partiti dal nostro Paese dal giugno 2014. Di questi, 51 sono morti, 29 arrestati, e una trentina sarebbero ancora in Iraq/Siria. L’Italia non ha una politica di riavvicinamento: se hanno commesso reati, sono considerati latitanti e attivamente ricercati, anche tramite le competenti strutture di cooperazione internazionale tra le forze di polizia. Come sottolineato da Goracci, la sconfitta territoriale del Califfato islamico non coincide con la vittoria contro il terrorismo islamico; anzi, il desiderio di vendetta dei figli dei jihadisti deceduti che si trovano ancora in Siria e in Iraq è un potenziale fattore di rischio. È dunque necessario un nuovo sistema socioeconomico nelle zone martoriate dalla guerra, per togliere al terrorismo islamico la base sulla quale fare leva.

In conclusione, i relatori hanno ripreso la parola per sintetizzare in breve alcune raccomandazioni. Per Goracci, la sfida attuale risiede nella complessità dei problemi che hanno causato la prosperità del terrorismo di matrice islamica; senza dimenticare che la morte di al-Baghdadi non coincide con la fine della minaccia. L’opinione di Olimpio risiede nella convinzione che i quadri delle organizzazioni terroristiche vadano eliminati. Colombo, sottolineando nuovamente l’importanza delle ideologie, ricorda che devono essere smentite le assunzioni sfruttate dai gruppi terroristici, lavorando nella cosiddetta “zona grigia”. Per Martucci, la qualità della radicalizzazione è fondamentale, come lo sono la preparazione dei mediatori e la collaborazione delle comunità islamiche. Infine, Nobili ricorda che il nostro Paese non è odiato dai terroristi islamici, poiché è percepito come un Paese di accoglienza – nella sua opinione, questa idea è probabilmente innestata nella cultura di rispetto che caratterizza l’Italia.

L’evento è iniziato alle 17:30 ed è terminato alle 19:30 del 6 febbraio.

Il presente report è stato stilato in data 6 febbraio 2020 (scarica in pdf)




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